Aggregare o disgregare? Sopravvivenza o estinzione dello studio professionale

Ripartire post quarantena con nuovi compagni di viaggio? 

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Negli ultimi anni stiamo assistendo a operazioni di riorganizzazione tra studi che per la loro dimensione sono spesso frutto di importanti operazioni straordinarie.

L’impressione è in realtà che per la prima volta il “piccolo mondo” delle professioni inizi a guardare con un occhio più attento le dinamiche già presenti da tempo nel mondo delle imprese. Se è vero come appare che in un futuro non molto lontano le attività ordinarie come la contabilità e le dichiarazioni perderanno posizione, è ipotizzabile che aumenterà il bisogno di consulenza a elevata specializzazione e che i servizi dovranno essere erogati in maniera diversa.

 

Ma come sta cambiando quindi il dna degli studi?

 

Aggregarsi o disgregarsi? Questo è il dilemma.

Se si parte da una macroanalisi degli studi professionali italiani appare evidente come a farla ancora da padrone sia il professionista-tuttologo. Nonostante la sua diffusione all’interno degli studi, le avvisaglie di un mercato caratterizzato da un dinamismo sempre più accentuato portano a pensare che esso sia anche – paradossalmente – la prima “figura mitologica” destinata a sparire. Riflettendo con un collega che reputo mi colpì una frase che dopo una lunga pausa che gli sentii pronunciare in modo netto: “La verità è che oggi quel che faccio io lo sanno fare un sacco di colleghi, e magari anche meglio di me. Prima un buon professionista aveva modo di attirare clienti, ed era raro che al cliente venisse in mente di cambiare il consulente di fiducia nell’arco di una vita. Ora il mercato ha una volatilità e una complessità tale che per l’acquisizione del cliente diventa necessario pensare a strategie nuove, diverse”. Come dargli torto. La minor asimmetria informativa del cliente, la possibilità di comparazione dei servizi, l’aggiornamento professionale, la specializzazione o la possibilità di “spacchettare” la consulenza derivante da una complessità sempre crescente imposta dai temi da affrontare. Queste scelte determineranno così a cascata la “sopravvivenza” o meno dello studio negli anni a venire. L’abbattimento dei costi di infrastruttura unito all’idea che serva un allargamento delle competenze sempre più marcato, porta a pensare che una delle strade da percorrere sia quella di una vera e propria cooperazione intellettuale. Quale siano quindi i modelli aggregativi più opportuni in grado di rispondere al meglio a un mercato in continuo cambiamento è un tema assolutamente attuale.

 

I modelli aggregativi

Utilizzando l’approccio del “make or buy” una delle soluzioni percorribili e di facile attuazione da parte dello studio potrebbe essere quella di “comprare” competenze esterne per ovviare alla carenza di specializzazione interna e poter così offrire risposte specifiche e rapide a seconda dell’esigenza. Appare chiaro che in quest’ottica, la risorsa è e resterà esterna con un conseguente scarso livello di coinvolgimento nella struttura ospitante e se tali risorse dovessero diventare strategiche nell’offerta dello studio, il consulente-fornitore avrà dalla sua un discreto potere negoziale. Percorrendo invece l’ipotesi della crescita “per aggregazione” professionale, si potrebbe prospettare l’opportunità di avere a disposizione professionisti più specializzati in grado di rispondere in maniera efficace ed efficiente alle esigenze dello studio. La specializzazione e le economie di scala si potrebbero attuare anche all’interno degli studi, con il triplice obiettivo di ampliare l’offerta, aumentare l’efficienza e ridurre i costi. L’esperienza professionale dei professionisti “senior” potrebbe essere così trasferita anche ai professionisti “junior” probabilmente con un appianamento delle complesse dinamiche legate al passaggio generazionale. L’operazione “svezzamento” del cliente attaccato al cordone ombelicale del professionista di riferimento potrebbe infatti risultare diluita, con la maggior fiducia che una struttura di grandi dimensioni sarebbe in grado di trasmettere rispetto ad una il cui peso è retto totalmente dal “professionista-tuttologo”. Questo potrebbe inoltre evitare la perdita di valore dello studio nel tempo che avrebbe anche maggior “appeal” per un eventuale “investitore”, e assicurerebbe ai professionisti un passaggio generazionale senza grandi scossoni per la clientela.  Sotto il profilo della struttura organizzativa, le strade percorribili sono diverse.

 

Quarantena e riapertura sicuramente stanno dando vita a nuove problematiche e soprattutto nuovi costi. Studi che già prima della pandemia pensavano di attuare operazioni straordinarie ora si trovano nelle condizioni di rendere concreto questo cambiamento interno aggregandosi con altri studi. 

Ma conviene davvero?

Ricordando le scelte che uno studio può fare è giusto citare i pro e contro di ognuna.

La prima opzione – e forse storicamente la più utilizzata – è quella dello studio associato, in cui due o più professionisti gestiscono in comune un’attività professionale condividendo la struttura con la finalità di generare profitti. Spesso questo tipo di unioni che partono come “civili” degenerano in “convivenze” litigiose o in “professionisti-condomini” che vivono con un certo fastidio le regole di buona convivenza.

 

La seconda opzione è la fusione: due studi danno vita a uno solo di maggiori dimensioni oppure ancora, quello in cui uno studio di dimensioni rilevanti acquisisce studi di dimensioni più piccole riunendoli in un’unica struttura.

La terza opzione proprio per la complessità che la sua realizzazione comporta, è lo studio aggregato, situazione in cui uno studio di dimensioni significative rileva altri studi, dislocati in aree diverse anche dal punto di vista geografico. Lo sforzo principale in questo caso è volto a trovare omogeneità nelle procedure, ribilanciamento dei carichi ripensando anche a ruoli e deleghe. Occorre cioè valutare che tipo di efficienze operative e gestionali sia possibile fare. I soggetti aggregatori in questo caso agisce con un management strutturato e con un approccio al mercato di tipo aziendale e dinamiche decisionali più simili alle società di capitali.

 

Spesso il professionista è individualista e fatica a comprendere i motivi per cui dovrebbe condividere la propria attività con altri. Risulterebbe una scelta contraria alla filosofia che sino a quel momento ha guidato la propria vita e la crescita del proprio studio professionale. In più, non di rado l’esperienza pregressa in altro studio associato potrebbe aver lasciato qualche cicatrice. Sicuramente il far parte di una struttura di maggior dimensioni è cosa diversa che vestire il ruolo di one-man-show all’interno di uno studio.

 

Se dovessimo stilare una check list di domande che il professionista in modo molto introspettivo dovrebbe porsi nel momento in cui valuta una delle opzioni sopra citate, quelle che seguono potrebbero rappresentare una buona base di partenza.

  1. Perché mi aggrego?
  2. Quale finalità voglio raggiungere aggregando il mio studio?
  3. Come immagino l’avventura in cui mi sto lanciando?
  4. Posso fidarmi dei miei futuri soci?
  5. I loro apporti saranno in linea con le attese?
  6. Mi piace la vision del progetto di aggregazione?
  7. La mission è in linea con le mie aspettative?
  8. Per quale motivo sto valutando di percorrere questo tipo di strada?
  9. Voglio veramente condividere la proprietà del mio studio?
  10. Se percorro questo progetto ritengo che i vantaggi superino gli svantaggi?
  11. Nella nuova struttura guadagnerò di più o meno rispetto ad adesso?
  12. Il guadagno è un driver fondamentale di questa scelta?
  13. Alla luce della nuova organizzazione cambierà la mia qualità di vita?
  14. Ritengo che questa sia la strada per dare la giusta continuità al mio studio?
Aggregazione studio commercialista